Durante la pandemia abbiamo dovuto cambiare velocemente le nostre routines e modalità di vita. Dal non abitare la casa se non per dormirci e talvolta mangiarci per motivi lavorativi, siamo passati a doverci restare reclusi per lungo tempo uscendo il meno possibile, ribaltando quelle che erano le nostre prospettive economiche e sociali precedenti. Oggi la situazione sembra cambiata, le persone hanno ripreso le loro attività produttive quotidiane, eppure niente sembra più come prima, perché?
Questa bolla asettica di solitudine ha in qualche modo costretto le persone a riflettere su sè stesse e a fare un resoconto sulle proprie aspettative di vita, anche e soprattutto lavorative. Ad esempio molti giovani hanno deciso di cambiare completamente vita, in questo periodo, lasciando le loro vecchie attività cittadine per abbracciarne altre, totalmente diverse, legate alla natura ed agli animali. Si tratta di un vero e proprio "esodo" che, dalla civilizzazione, ha portato persone giovani e meno giovani verso zone rurali del nostro territorio ed anche oltre, per fare un'esperienza di vita più appagante, concreta ed umanamente soddisfacente. Di questo fenomeno non si parla minimamente nel flusso informativo principale. Così come la moltitudine di persone che, pur non spostandosi dalla sede urbana, hanno deciso pari modo di lasciare le loro "vecchie" modalità di vita abbracciando altri mestieri mai svolti prima, altri modi di pensare e di vestire la propria vita.
Il cambiamento sociale repentino che sta avvenendo, è una normale conseguenza di ciò che abbiamo non-vissuto durante la pandemia, una condizione che, in qualsiasi modo venga vista, ci ha impedito di "andare avanti" in quel sistema in cui vivevamo precedentemente. Niente è più come prima perché il modo di concepire la vita che prima ci guidava non era adeguato alla vita stessa. Lavorare 8 ore al giorno, anche la domenica, in condizioni esistenziali insufficienti (senza spazi di riposo o di socialità); oppure lavorare "random", con turni brevi e senza garanzie future di stabilità; oppure lavorare pochi mesi, per poi ritrovarsi costantemente nell'affannosa ricerca di un lavoro. Per non parlare della "ricerca scientifica" nel nostro paese, totalmente soppressa, e motivo di fuga dei nostri cervelli all'estero. Tutto questo ha impedito ad intere generazioni di vivere in modo dignitoso, di farsi una casa, di avere delle relazioni ed anche dei figli.
Di tutto questo nodo si continua a non parlare in un atteggiamento di cecità totale che non può portare altro che di fronte agli scogli. Il tema del lavoro si lega in modo assoluto alla vita, ai bisogni essenziali dell'esistere come ad esempio nutrirsi ed avere una casa, diritti imprescindibili di ogni essere umano. La pandemia di fatto si è rivelata come il punto zero da cui ripartire correggendo il "tiro" precedente. Le persone sono stanche di "vivere male", cioè sopravvivere nelle precarietà, e vogliono avere quelle certezze minime di diritto attraverso le quali vedere un futuro personale accettabile, e non il triste "destino".
Finchè le istituzioni non prenderanno atto e consapevolezza di questo profondo processo di cambiamento spirituale in atto ormai da due anni, non ci sarà nessun reale cambiamento della società ed il nostro paese sarà destinato a rimanere indietro rispetto agli altri paesi, confinato nelle sabbie mobili dei "vecchi schemi" non più utilizzabili.