Oggi non disponiamo di un'informazione reale sulla depressione.

L'immagine che la società ci offre di questa patologia è fissata all'immagine stereotipata di una persona afflitta dal dolore, immobile, incapace di reagire a qualsiasi stimolazione dell'ambiente circostante, e spesso muta. Ma questa caratterizzazione non descrive la varietà di sfumature, al contrario molto dinamiche e brillanti, che il fenomeno ha assunto negli ultimi anni, e nel quale si articola (non-visto e socialmente rinforzato), il “male di vivere”.

Questo atteggiamento oscurantista di origine psico-sociale ci fa capire come ancora oggi, nonostante l'avanzamento tecnologico, abbiamo serie difficoltà a riconoscere alcuni aspetti della nostra natura umana e, di conseguenza, a prenderne consapevolezza. Gli psichiatri parlano di “stigma” verso la malattia; nella mia esperienza ho sempre incontrato la paura sia in chi la vive in prima persona, sia in chi la vive indirettamente attorno al malato. E la paura cresce sempre verso ciò che non si conosce, in un circuito chiuso che si autoalimenta all'infinito.

 

Vediamo dunque con pazienza di fare chiarezza nel buio.

La “depressione” non è un mostro a 5 teste, anche se chi la vive pensa giustamente il contrario: la “depressione” è uno stato fisiologico che coinvolge tutto il nostro corpo, cervello compreso. La complessità della nostra natura psicofisica non ci permette di attribuire solo al cervello la causa di questo calo energetico/funzionale, perché i sistemi di regolazione fisiologica del corpo sono diversi, estesi e fittamente intrecciati l'un con l'altro, perciò la depressione non ha una natura soltanto “cerebrale”. E' uno stato di scompenso psicofisico complessivo che nasce a conclusione di un lungo periodo di stress psicofisico precedente in cui la persona ha perso sè stessa.

 

Nella vita quotidiana è normale avere momenti transitori di “depressione” senza per questo ammalarsi nel vero senso della parola: viviamo momenti del genere, anche in modo profondo, durante le separazioni, durante le perdite di persone care o animali di affezione, durante le delusioni d'amore, le sconfitte e i fallimenti personali, tutti passaggi, questi, sempre presenti nella vita e necessari per “crescere”. Ma un certo calo di tensione accompagna sempre anche i passaggi dovuti ad eventi positivi come sposarsi, avere una promozione, avere un bambino, vincere un concorso, intraprendere un nuovo lavoro, e così via... ovvero tutti quei momenti in cui le nostre abitudini precedenti cambiano rapidamente aprendoci nuove strade di vita. Questi momenti possono durare anche per alcuni mesi ma dopo circa 4-5 mesi questa situazione "si risolve" lasciando il buio alle spalle. Sono momenti di profondo cambiamento personali di esperienza normale del dolore che poi "passa".

 

Nel fare fronte ai cambiamenti sempre più veloci a cui la società ci sottopone, l'essere umano ha sviluppato aree di fissazione sempre più specifiche, false “nicchie di salvataggio” con cui fare scudo (evidentemente) ad una vita non più sostenibile, e fermarsi. Sono punti di fissazione dove, ad esempio, la cura della persona può diventare estrema con un investimento di tempo e denaro non indifferente, l'attenzione diventa maniacale per il corpo in tutte le sue sfumature, sia in senso “salutista” che “estetico”, e dove l'obiettivo patologico è quello di cambiare aspetti del proprio corpo in funzione del raggiungimento di un modello ideale altissimo, lontanissimo. Spesso questo modello di magrezza, effcienza muscolare ed assenza di fatica, è sostenuto da un falso modello medico assolutista, che non considera anche gli aspetti psicologici della persona. Nascono così disturbi del comportamento alimentare (cioè la limitazione del cibo in funzione del raggiungimento del peso ideale), le dismorfo-fobie (cioé cambiamenti fisici del corpo anche con interventi chirurgici per il raggiungimento di una forma corporea ideale), il fitness patologico (cioé il movimento senza sosta per raggiungere l'ideale di efficienza fisica e "salute"), la cura ossessiva della propria estetica (rivolta al vestiario, o ai capelli, o al make-up o a tutte queste cose insieme per sentirsi perfetti ed invulnerabili). Questi modelli comportamentali sono spesso sostenuti anche da immagini proposte continuamente dai media ma anche ultimamente dal cinema e dal teatro, con un'attenzione perfezionista più al contenitore che al contenuto, contenuto tradotto spesso in scambi verbali a mitraglia o in scene crude immediate (ovvero con contenuti deprivati del tipico tempo lungo della riflessione e dell'immaginazione1): non dobbiamo meravigliarci poi se la gente non pensa più ma agisce senza pensare. Sempre più spesso questa mancanza di immaginazione e di pensiero viene sostituita da dipendenze di svariato tipo, un attaccamento morboso a comportamenti o a sostanze la cui "funzione" da un punto di vista antropologico è quella di ricreare una bolla (lontano dalla realtà) dove poter sognare ed immaginare in libertà.

 

In questo contesto sociale e medicale ridotto, non è quindi infrequente essere “depressi” ed ammalarsi di depressione, e questa situazione non migliorerà finché gli organi governativi non prenderanno consapevolezza dell'importanza del riconoscimento e del trattamento degli aspetti umani nella società di oggi per offrire ai cittadini effettivi percorsi di riabilitazione e cura della depressione.

 

Un'attenzione particolare va rivolta alle fasce più giovani dove la depressione sta comparendo, con una velocità disarmante, sempre più precocemente: i bambini sono sempre più soli a causa di un sistema lavorativo veloce che tiene lontani da casa i genitori con ritmi sempre mutevoli e mai certi. Se già a livello “sociale” non teniamo conto del “nostro male di vivere” più importante, figuriamoci se ci accorgiamo dei sintomi apparentemente lievi che stanno caratterizzando le nuove generazioni e che evolveranno nei disturbi citati sopra. Iperattività, disturbi del comportamento alimentare, disturbi del comportamento a carattere violento (bullismo, oppositività, delinquenza), fissazioni (lavarsi le mani tante volte, o ripetere un gesto scaramanticamente, etc...), asocialità, sfiducia verso il prossimo e chiusura sociale: sto elencando solamente tutti quei disturbi che fanno capo alla mancanza più importante per la nostra specie, l'empatia, ovvero quella capacità innata dell'essere umano, e particolarmente attiva nei bambini, di “accorgersi dell'altro” e di tendere una mano se ha bisogno. E' per questa sottostima generale delle problematiche psicosociali che siamo così ignoranti verso le distorsioni che si stanno sviluppando silenti in bambini e ragazzi.

 

IN CHE COSA CONSISTE IL TRATTAMENTO FUNZIONALE DELLA DEPRESSIONE

La Depressione indica uno stato di malessere della persona le cui radici vanno ricercate nel suo stato attuale di Salute psicofisica. La ricerca dei sintomi riguardano tutti gli aspetti della persona, dal suo modo di pensare (se vi sono alterazioni verso la negatività), dal suo modo di provare ed esprimere le emozioni (se ci sono fissità ed alterazioni emotive), fino all'indagine sulle contratture muscolari di origine posturale, e la salute medica generale (per i dati medici che si possono reperire esistenti). La Valutazione offre la "Rosa Funzionale" attuale della Persona attraverso un'indagine complessiva nella quale emergono le cause originarie dello scompenso (ovvero l'indice di DiSTRESS accumulato nel tempo). Tutto ciò è ricercato e condiviso con il paziente che prende consapevolezza delle criticità.

Una volta chiarito il problema, il percorso consiste in un graduale processo di cambiamento il cui fine è quello di riattivare le aree silenti del Funzionamento Psicofisico della persona attivate in tutte le aree (emotive, cognitive, motorie e organiche). E' un processo lento, ma non infinito, in cui si possono stimare (senza presunzione di chiaroveggenza!) tempi e modi del percorso, sempre condividendo con il paziente. 

Durante il percorso la persona testa con mano i cambiamenti in atto, i comportamenti disfunzionali lasciati alle spalle e le nuove acquisizioni di vita e, alla fine, può dire di aver compreso il modo in cui si è "perso" e "ritrovato" da Sè, ritornando ad essere veramente Sè stesso.  

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1Una riflessione sui film di ultima generazione di Miss Marple: nelle ultime versioni, l'attenzione per i particolari scenici sono al massimo livello, al punto che allo spettatore arriva perfino il suono delle ossa rotte della vittima uccisa o può vedere la scena completa dell'uccisione, a differenza dei vecchi film dove l'attenzione si rivolgeva più spesso alla suspance e al personaggio di Miss Marple, in particolare alla sua curiosità. Ci chiediamo il senso del recente realismo scenico d' “effetto”, e dello scivolamento a corsa verso la soluzione del “caso”. I dialoghi delle scene finali, infatti, nelle ultime generazioni sono velocissimi, a volte scarsamente comprensibili, e molto lenti, con pause di riflessione, nelle vecchie versioni consentendo allo spettatore di ricollegare i pensieri alle emozioni provate.